Tuina dei campi concentrici

Convivio dantesco di fine corso

Dopo quattro anni di incontri online quasi settimanali, il corso dei “Fedeli d’Amore per Dante” è arrivato al termine della Divina Commedia e ci è sembrato giusto celebrare questo traguardo con un pranzo, anzi un “convivio“. Abbiamo scelto il ristorante “I’ canto ghibellino” a Empoli, in Piazza Farinata degli Uberti, celebre personaggio del canto X dell’Inferno, dipinto da Dante come uomo che, pur restando un nemico, incute rispetto. In attesa che arrivassero le ordinazioni, mi hanno chiesto di commentare l’evento: 

«Dante ci ha insegnato che alcuni testi si possono leggere in quattro sensi: letterale, allegorico, morale, anagogico. E ci dice anche che, affinché l’interpretazione sia corretta, il senso che segue si va ad aggiungere al precedente senza contraddirlo.

nelle nostre lettura abbiamo imparato anche che il percorso iniziatico della Divina Commedia è ancora attuale, si può portare nella nostra vita e questo vale anche per l’interpretazione dei quattro sensi.

Ecco che a livello letterale noi ci troviamo qui per un bel pranzo insieme.

A un livello morale si potrebbe ricavare la legge che è giusto conoscerci anche di persona e gioire dello stare insieme, visto che abbiamo condiviso un percorso insieme, un percorso profondo che ci ha resi migliori.

A un livello allegorico o simbolico, possiamo ricollegarci alla stessa metafora del banchetto, che Dante ha usato all’inizio del Convivio, dove il cibo è inteso allegoricamente come “sapere”. Leggiamo insieme una parafrasi adattata dell’incipit:

“Come dice Aristotele all’inizio della Metafisica, tutti gli uomini per natura hanno desiderio di conoscenza.

La ragione di questo fatto è che ciascuna creatura, spinta dalla natura assegnatale dal cielo, tende alla propria perfezione. L’estrema perfezione della nostra anima è la conoscenza e tutti siamo per natura predisposti a desiderarla, in quanto quella in cui consiste la nostra massima felicità. Tuttavia molti si allontanano dalla disposizione alla conoscenza e lo fanno per diverse cause, interne o esterne. Nel corpo, ci possono essere difetti e impedimenti, ad es. organi malformati che impediscono di percepire e quindi imparare bene. Anche il luogo dove uno è cresciuto può privarlo non solo di ogni istituzione scolastica, ma anche tenerlo lontano dalle persone istruite. Oppure vi sono impegni familiari, sociali, civili inevitabili che impediscono di avere il tempo libero per dedicarsi alla conoscenza e al pensiero. Tutte queste cause non sono rimproverare, ma degne di perdono. Ma sono invece da biasimare la malizia che devia volutamente l’interesse verso piaceri ingannevoli e anche la pigrizia [che non è “non fare” ma “non fare il nostro bene]; entrambe allontanano dal desiderio di conoscenza.

Così, ovviamente, sono pochi quelli che rimangono, e molti gli “affamati di questo cibo” [cioè del sapere]. Beati quelli che siedono al tavolo dove si mangia il pane degli angeli! [salmo LXXVII, 25]: e miseri quelli che mangiano la stessa cosa delle pecore!

Ma poiché ogni uomo è per natura amico di ogni altro uomo e ogni amico prova dolore per l’incompiutezza della persona a cui si vuole bene, coloro che mangiano a una mensa così nobile si dispiacciono per coloro che mangiano erba e ghiande come gli animali. Così, coloro che sanno offrono sempre con generosità la loro buona ricchezza [di sapere] ai veri poveri [di sapere], e coloro che sanno sono quasi una fonte viva con la cui acqua si placa la naturale sete [di sapere].

E dunque io, che non siedo alla mensa degli angeli e tuttavia, allontanatomi dal cibo animalesco del volgo, ai piedi di coloro che siedono, raccolgo le briciole del banchetto, e conosco la vita miserabile delle persone che ho lasciato dietro di me, a causa della dolcezza che provo per il cibo che a poco a poco raccolgo, dispiaciuto, senza dimenticare la mia precedente condizione di ignoranza, ho messo da parte per i poveri qualche briciola, che ho già mostrato ai loro occhi nelle mie opere, facendoli invogliare. […] Ecco perché ho dato al mio lavoro il nome di “convivio”, perché sono qui a dare quel tipo particolare di pane e quella vivanda che desidero non sia servita invano.

Perciò non si accosti nessuno che non abbia né denti, né lingua né palato e neanche nessuno seguace dei vizi, con lo stomaco pieno di umori velenosi contrari, pieni di malizia, che non gli consentirebbe di assimilare niente. Venga invece chiunque è rimasto in quel desiderio di sapere anche se pieno di impegni…».

E, nonostante la stanchezza o la fatica di capire il volgare di 7 secoli fa, ha ritagliato un’ora e mezzo quasi ogni settimana, per avvicinarsi a quella tavola, mangiare quel pane, colmare il desiderio di sapere e insieme comprendere meglio se stessi.

In questo “convivio” di oggi 12 aprile 2025, a un passo dalla Settimana Santa (la settimana in cui avviene il viaggio della Divina Commedia) ci inchiniamo spiritualmente davanti al nostro antico antenato che ci ha regalato la lingua che parliamo e che continua a indicarci dove è la rettitudine, dove è il coraggio, dove sono le ombre e dove è la luce.

E il senso anagogico? Il senso anagogico o spirituale non lo si può spiegare. È una presa di coscienza che ognuno ha con se stesso quando capisce come impegnarsi, dedicarsi, sentirsi sempre un Fedele d’Amore.